In un periodo fra il 1400 ed il 1500, momento di scontri frequenti fra piccoli e grandi feudatari, si consumò una intensa storia d’amore tra Soleste, figlia di un nobile alla corte dei Landi, e Moroello, comandante della guarnigione del castello. Purtroppo, il crudele destino costrinse il coraggioso condottiero a partire, alla testa delle sue truppe, per difendere la zona da un nemico incombente. Passarono i giorni, e le notti, con la giovane donna in inutile attesa sul grande “Mastio” della fortezza. Finché, un dì, apparve all’orizzonte una moltitudine di cavalieri ma con indosso le armature dell’odiato nemico. Si sentì perduta, ed incapace di sopportare il dolore, si lanciò nel vuoto. In realtà, erano le truppe amiche che, in segno di spregio per lo sconfitto, ne avevano vestito l’armatura. Moroello, accortosi del tragico equivoco e vinto dal rimorso per essere stato la causa prima della tragedia, si gettò anch’esso dall’alto del “Mastio”.
Siamo al castello di Bardi, fortezza medioevale arroccata su una balza di diaspro rosso e costruita dai Malaspina, distrutta dai Pallavicino e ricostruita dai Landi. Esso domina la sottostante Valle del Ceno, circondato dalle dolci vette dell’appennino parmense e adagiato sulle pendici del Monte Crodolo, a 600 metri sul livello del mare. Secondo la leggenda il paese di Bardi venne costruito nella fossa dell’ultimo dei trentasette elefanti di Annibale provenienti dal Ticino. Il grande condottiero, infatti, sceso in Italia attraverso le Alpi con una moltitudine di uomini, mezzi ed animali, fu qui costretto ad una sosta forzata, nella sua discesa verso Roma, dall’arrivo dell’inverno.
Gli abitanti della zona, allacciarono rapporti così amichevoli con i nuovi arrivati da mutare il nome del proprio paese in Bardi, dal latino “barrus”, elefante. Originariamente la valle venne abitata prima dai Liguri e poi dai Romani.
Girava voce negli ambienti paranormali che strane cose succedevano nel castello: qualcuno aveva sentito odore di sterco (anche in periodi in cui i campi non si concimavano) a cui aveva fatto seguito un improvviso ma gradevole profumo di essenze naturali. Alcuni giuravano di aver udito suoni e canti, oppure un bisbiglio di voci in quella che fu l’antica “Locanda” del castello o un rullare di tamburi e passi cadenzati nei percorsi della ronda. Altri avevano visto misteriose luci alla sommità del “Mastio”. Molti, invece, avevano segnalato che cerchi di pietre si erano formati misteriosamente nella “Piazza d’Armi” durante la notte (al proposito ne esistono fotografie, lo dice persino il CICAP, purtroppo non sono riuscito a recuperarle e alla biglietteria del castello sono caduti dalle nuvole, pur citandone l’esposizione ad una mostra interna del 2002). Avevano il diametro di circa un metro e mezzo ed erano costituiti da massi del peso compreso tra i 400-500 grammi e i 2,5-3 chilogrammi. Il personale rincarava la dose aggiungendo che grosse pietre ogni tanto si spostavano dalla loro sede naturale così come l’oggettistica nelle sale espositorie.
A quel punto, qualcuno decise di vederci chiaro.
E questo qualcuno prese il nome di Michele Dinicastro e Daniele Gullà, ex ricercatori del Centro Studi Parapsicologici di Bologna (CSP), probabilmente la più importante organizzazione italiana del settore ed attualmente membri del Laboratorio Interdisciplinare di Ricerca Biopsicocibernetica. La loro accurata indagine raggiunse il suo momento più importante e spettacolare quando riuscirono a fotografare, all’interno del castello, un “qualcosa” apparentemente fuori dal comune. Era il 16 ottobre 1999 ed in uno, il quinto, dei trentuno scatti effettuati nell’arco di un ora da un apparecchio fotografico a raggi infrarossi (in termine tecnico, una termocamera), registrarono una “macchia” dalle chiare evidenze antropomorfe. Al contrario ne i presenti ne una macchina fotografica normale con pellicola da 100 ASA avevano evidenziato nulla di anomalo. La zona fotografata, una breve scalinata che conduce alla “Sala del Boia”, fu scelta per l’esperimento perché indicata insistentemente da due sensitive.
Un giusto dosaggio di filtri applicati alla fotografia rese, poi, ancor più chiara l’immagine di un uomo visto di profilo ed a mezzo busto. Precedenti visite in loco, datate 1995 e 1997, avevano, però, già prodotto risultati interessanti. In particolare i due ricercatori udirono una sera, alle ore 23 ed in compagnia di altre tre persone, un netto rullare di tamburi, apparentemente proveniente dalla “Piazza d’Armi”, poi una sofisticata apparecchiatura sensibile ai raggi ultravioletti registrò formazioni “nebulose” nella zona della “Sala delle Torture” oltre a quello che aveva tutta l’aria di assomigliare al viso di un bimbo al di sopra della spalla di uno dei presenti. Diversi sensitivi, in quei giorni, infine, confermarono la “stranezza” del luogo.
Ma torniamo alla nostra fotografia misteriosa, di cosa potrebbe trattarsi?Ecco le possibili spiegazioni della fotografia del presunto “fantasma”. Elenchiamole in ordine crescente di probabilità, ovviamente a parere di chi scrive:
-una macchia informe che si evidenzia unicamente per una leggera differenza di tonalità.
E’, come presumibile, la giustificazione offerta dal Cicap. In risposta a due lettere si può infatti leggere, sul sito dell’associazione medesima, alla voce “Il CICAP risponde”, e sul numero attualmente in edicola della loro pubblicazione bimestrale, come la pensa Silvano Fuso, responsabile scuola CICAP. Egli si rifà allo studio di due membri del gruppo (Andrea Salsi e Fausto Serventi) e del quale riassume i connotati principali. In pratica sostiene che “…la foto originale, senza alcuna elaborazione, appare come una macchia informe ed è difficile individuare in essa fattezze umane…”. Per loro problema chiuso.
Se osserviamo la fotografia in questione vediamo, al contrario, che la storia non sta in piedi perché l’immagine antropomorfa balza immediatamente all’occhio. Prosegue sostenendo che “…la singolare figura potrebbe essere stata originata da una corrente d’aria calda…”.
Solo chi non ha visitato personalmente l’ambiente in cui la fotografia è stata scattata può credere plausibile la storia. Non esistono, infatti, fonti di aria calda (termosifoni, ventole o similari) ed è permanente percorso da correnti fredde (ricordo che la fotografia è stata scattata in ottobre) perché è sostanzialmente aperto, la zona è molto ventosa e siamo ai 700 metri di quota (considerando che il paese è a 600 metri ed il maniero si trova sopra un cucuzzolo). Che poi ci si attacchi a considerazioni banali del tipo “… i due ricercatori … fanno parte di una organizzazione privata senza alcun riconoscimento accademico … le loro ricerche non hanno mai ottenuto alcun riconoscimento scientifico …sono stati ignorati dalla comunità scientifica …” la dice lunga sulla incapacità di affrontare in modo “scientifico” il problema.
-un fantasma
La spiegazione, apparentemente la più verosimile, non regge, però, ad una analisi approfondita. Molti ritengono si tratti dello spirito inquieto e roso dai rimorsi di Moroello tornato ai piedi del Mastio in cui sarebbe stato rinvenuto il corpo esamine della sua amata. La presenza di fantasmi nei luoghi in cui si è deceduti di morte violenta o che, comunque, sono stati testimoni di eventi dall’eccezionale valore emotivo, è un classico della parapsicologia. L’analisi comparata con un ritratto di Francesco Gonzaga, duca di Mantova nel XV secolo, creata dal Mantegna, evidenzia, poi, analogie con quanto sembrano la barba, i capelli e l’armatura dell’apparenza luminosa. Sul deltoide del braccio sinistro, inoltre, si nota una maggiore emissione termica, come se fossimo di fronte ad una ferita sanguinante (ricordiamoci che il cavaliere era appena tornato da una cruenta battaglia). Quindi tutto torna. E, invece, no. Come premesso, alcune considerazioni sembrano escludere l’ipotesi “fantasma”.
Innanzitutto la vicenda d’amore ed il suo tragico epilogo non hanno riscontri storici il che è impossibile, qualora il fatto fosse vero, considerando che Soleste era la figlia di un nobile del luogo e viveva alla corte del feudatario. Esistono, poi, diverse, troppe, versioni della storia, come ogni “vera” leggenda che si rispetti. Ciò che è evidente è che, in realtà, si inquadra nel filone della letteratura romantica e cortese di epoca medioevale con l’equivoco a far pendere il destino verso la parte tragica (come i casi di Paolo e Francesca e Romeo e Giulietta). Anche se, ad esser sinceri, potrebbe trattarsi dello spirito di un altro cavaliere, comunque legato alle vicende del castello. Mi sembrano, però, forzate le similitudini con quadri coevi perché alla fine si finiscono per scegliere solo quelli che possono giustificare una determinata teoria, tralasciando gli innumerevoli altri in cui si potrebbe dimostrare l’esatto opposto. E, poi, quale senso può avere l’apparizione di una armatura, visto che lo “spirito” non la dovrebbe avere?
Il fatto, inoltre, che l’apparizione sia a mezzobusto, con la parte inferiore nascosta da una rampa di scale di epoca più tarda, non mi sembra deponga per la presenza “fisica” (si fa per dire) di un “qualcosa” (questa non si accorge delle scale)? (N.D.R. Questa affermazione mi trova contrario, in quanto è stato più volte ribadito che i fantasmi rimangono legati al periodo di vita terrena, quando cioè le scale non vi erano ancora state costruite!) Anche la sua altezza apparente (120 cm), contro la media dei 150 cm dell’uomo medioevale, è una anomalia che può suggerire che non si tratti dell’anima, spirito o dir si voglia di un trapassato.
E’ bene ricordare, poi, che mai, ripeto mai, prima dell’anno 2000, nella letteratura paranormale e dedicata ai luoghi infestati, si sia parlato di apparizioni nel castello di Bardi, la dice lunga sulla realtà delle cose (al di la dei “si dice” o dei “una volta, pare” che lasciano il tempo che trovano in una analisi seria). (N.D.R. Altra contraddizione: si dice infatti in questo pezzo stesso che gli stessi Gullà e Dinicastro hanno fatto le scoperte più rilevanti nel 1999, ma avevao alle spalle altri due sopralluoghi, fatti nel 97 e nel 95. Anche se non fù pubblicato nulla in quelle occasioni, non si può certo affermare che non vi fosse quantomeno un interessamento al castello di Bardi!).
Anche la ricca produzione letteraria locale, che ha voluto trovare leggende e stranezze in ogni angolo della provincia (a volte francamente ridicole), non ha mai citato alcunché di misterioso dentro il maniero. Quindi, i casi sono due: o il fantasma ha “dormito” per mezzo millennio e, chissà perché, ha pensato di farsi vivo solo in questi ultimi anni, oppure la spiegazione va ricercata altrove. A meno che si tratti di un tipo di manifestazione, veramente unica ed eccezionale, che, quando è presente, non si rende visibile in modo ordinario ma solo ad una determinata frequenza elettromagnetica (l’infrarosso, quindi, nel passato storico, era impossibile vederla).
-un effetto psicosometrico
In pratica, secondo questa teoria, l’ambiente avrebbe la capacità di “assorbire” determinati eventi, dei quali ne conserverebbe la memoria, per poi “proiettarli” in determinate circostanze, forse con l’intervento involontario ma catalizzatore delle persone presenti. Credo che tale giustificazione possa rendere merito dell’apparizione a mezzobusto del fantasma, mentre le obiezioni sopra riportate rimarrebbero, apparentemente, inattaccabili. Infatti se l’immagine fosse rimasta impressa, come una fotografia, sul muro, e questo venisse coperto da una scala, non la si potrebbe sicuramente vedere.
-una creazione della mente
Per paradossale che possa essere, questa giustificazione potrebbe (il condizionale è d’obbligo) spiegare le varie caratteristiche del fenomeno. In pratica, i soggetti presenti (i due inquirenti e le due sensitive) avrebbero involontariamente, con le loro aspettative, creato un “qualcosa” di concreto che, seppur labile (non era, infatti, visibile), era stato registrato dalle apparecchiature.
Loro si aspettavano e, inconsciamente, desideravano vedere “qualcosa”.
E questo “qualcosa” non poteva che avere l’apparenza di quanto era ed è nel loro e nostro immaginario collettivo. Ciò che si vede nella fotografia è un cavaliere vestito di tutto punto, in una posa da “ritratto” e si presenta a mezzo busto perché, forse, nel momento in cui è stata scattata la foto l’immagine, era ancora “in progress”. Ancora più evidente, in questa ottica, la figura del volto del bambino, così simile ai “putti” del Parmigianino.
Sulle possibilità che la nostra mente possa modificare e, più in generale, influire sulla materia, creando a volte strutture indipendenti, è stato scritto tanto e tante ne sono le evidenze.
Al di la dei classici fenomeni della psicocinesi, dei tulpa tibetani ed altri, negli ultimi anni sono state riscontrate nuove evidenze, come nella formazione dei cerchi nel grano (opinione, in particolare, condivisa da chi scrive), oppure in quegli esperimenti cinesi dove bambini dodicenni sono riusciti a spostare, con la sola forza della mente, piccoli oggetti che, durante il tragitto, sono spariti letteralmente dalla vista dei presenti.
Ma, soprattutto, è stato un misconosciuto esperimento degli anni Settanta di un gruppo parapsicologico di Toronto a far comprendere le quasi infinite possibilità della mente umana.
Esso riuscì a produrre artificialmente, grazie allo sforzo mentale congiunto dei partecipanti, un fantasma immaginario di nome “Philip”.
In una classica seduta spiritica venne creata una sorta di allucinazione telepatica visibile, una materializzazione dell’inconscio collettivo degli sperimentatori.
I risultati, pur non immediati, furono stupefacenti perché il “fantasma immaginario” si manifestò con tutte le caratteristiche tipiche del suo “vero” tradizionale, producendo fenomeni psicocinetici e interloquiendo con i presenti.
Insomma, la mente aveva realizzato, entro certi limiti, un “qualcosa” di concreto ed indipendente.
Ecco che allora, a livello teorico, può essere possibile che l’inconscio dei presenti presso la “Sala del Boia”, guidato e potenziato dal desiderio (inconscio, appunto) di vedere qualcosa, abbia generato ciò che è stato registrato dalla macchina fotografica.
“Case Closed”? Forse no.
-un alieno
Per strana che possa sembrare, questa è una valida alternativa alle soluzioni sopra citate.
Se proviamo a decontestualizzare l’immagine del “fantasma”, cioè la isoliamo dal suo riferimento ambientale, vediamo che alcune certezze sulla sua identità cominciano a sgretolarsi.
La stessa apparenza, posta, ad esempio, in un bosco farebbe a molti suggerire che potrebbe trattarsi di uno spirito della natura o una creatura dei boschi e chi più ne ha più ne metta.
L’impossibilità, poi, di interagire con essa rende ancor più problematica la faccenda (ad esempio, qualora l’apparizione si presentasse immobile ed indifferente, in pratica “tirasse dritto per la sua strada”, porterebbe ad escludere un certo tipo di matrice causale).
Proviamo, ora, però, ad analizzare quali sono, in estrema sintesi, le caratteristiche del fenomeno.
Nessuno, fra gli addetti ai lavori, fino alla fotografia in questione, aveva mai sentito parlare di un fantasma al castello di Bardi (consultare la corposa bibliografia sul paranormale o le guide locali per credere).
La storia fra Soleste e Moroello è una pura invenzione letteraria che non può, dunque, generare fantasmi.
Nessuno ha mai visto il fantasma nel modo classico in cui si vedono i fantasmi (apparizione nebulosa e spettrale o robe simili).
Quanto è stato fotografato (il cosiddetto “fantasma termico”) è il primo ed unico caso al mondo di tal fattura (nonostante la fotografia infrarossa, in campo paranormale, la si usi da tempo) il che fa venire il sospetto (seppur non la certezza) che invece che di un fantasma, o di una faccenda paranormale, si tratti di qualcosa d’altro.
Se fosse un “qualcosa” collegabile al luogo, (fantasma o impregnazione psichica dell’ambiente) oppure legato alla mente delle persone, l’apparizione non avrebbe avuto l’eccezionalità che invece ha dimostrato.
Quindi?
Facciamo un passo all’indietro e saltiamo in un argomento apparentemente distante dalla fenomenologia paranormale e spiritica: l’ufologia.
Nel nostro immaginario l’UFO è una luce in cielo dalle strane sembianze e comportamenti o, nei casi più spettacolari, ma forse anche più dubbi, una macchina volante sconosciuta.
Ebbene, le cose sono, in realtà molto più complesse.
Come ci ricorda, in un suo vecchio articolo, l’indimenticato Roberto Balbi del C.U.N. si sono visti (le frasi sono tratte dal libro di Giorgio Pattera citato in bibliografia) “…oggetti volanti non identificati di apparenza solida sparire di colpo davanti al testimone esterrefatto (caso Valensole, per tutti) …”. E continua “…in tutto il mondo si hanno notizie di fotografie “strane”, potremmo definirle così, dove al posto del panorama o del ritratto della fidanzata, della moglie o dei bambini … si notano delle strane forme, delle strane “cose” che l’occhio in quel preciso momento non era riuscito a catturare.”.
La spiegazione potrebbe essere che “…l’occhio umano può percepire radiazioni che vanno da circa 400 millimicron (blu-violetto) ai 730 millimicron (rosso)…” mentre le apparecchiature fotografiche hanno una sensibilità ben maggiore.
Detto in parole povere, la fotografia può catturare l’invisibile, di qualunque cosa esso si tratti.
E ciò è successo, è bene ricordarlo, con apparecchiature tradizionali e con pellicole ordinarie.
In Italia è rimasto famoso il caso di Rapallo del 1978 dove, nella fotografia scattata da tre ragazzini, si vede un oggetto sfuocato e campanulare non rilevato ad occhio nudo, oppure dell’umanoide fotografato al Podere Marniano nel 1976 di cui i presenti si erano accorti di nulla.
Qualcuno vi leggerà di misteriose forme di energia, di diavoli o angeli, di spiriti, oppure di UFO (come nel caso sopraccitato) ma anche di … alieni.
Ricordiamo, al proposito, la testimonianza della inglese Cynthia Appleton che vide materializzarsi all’interno della propria abitazione, in modo prima confuso e poi sempre più chiaro, delle entità che dichiararono di venire da un altro pianeta.
Quindi viene lecito chiedersi se questo comparire e sparire non sia una semplice (si fa per dire) conseguenza dell’uscire dallo spettro elettromagnetico a noi visibile.
In altre parole la cosa, o l’essere, potrebbe esserci ma non vedersi.
Che il nostro “fantasma” valligiano sia un alieno, un extraterrestre, insomma una creatura molto concreta, che non si è resa visibile agli occhi dei testimoni ma, solo per un attimo, alla frequenza infrarossa della macchina fotografica?
E’ possibile.
Alcune considerazioni, ora, sulla forma, chiaramente antropomorfa della misteriosa figura.
L’idea che sembri un cavaliere con indosso l’armatura è figlia di preconcetti legati al luogo (un castello) e alla vicenda (medioevale) dei due amanti.
In realtà da un’immagine scura e senza particolari è difficile trarre conclusioni definitive.
Quindi potrebbe trattarsi di un “essere” fatto esattamente così come appare e non ricoperto da un qualcosa.
La mancanza, apparente, poi, degli arti inferiori, nell’ottica aliena, è ben poco significativa.
Basta sfogliare l’ottimo libro di Moreno Tambellini, citato in bibliografia, per rendersi conto di come le razze di presunti extraterrestri siano pressoché infinite passando “… dal perfetto essere umano all’essere peloso, dal robot all’evanescente apparizione…”.
Vediamo, ad esempio, il caso che ha come protagonista la quattordicenne Irene Lucente che la sera del 26 luglio 1977 vide, nei pressi di un albero, una sagoma umanoide immobile, dal corpo tozzo ma invisibile dalle ginocchia in giù.
Da un punto di vista strettamente ufologico, poi, intendendo tale termine nella sua accezione più vera, è bene sottolineare come la Val Ceno, in cui il paese di Bardi si trova, e l’adiacente Val Taro, siano luoghi ad alto tasso di “stranezza”.
Al di là dei singoli episodi (che sono tanti) basti ricordare che nel comune di Solignano, non troppo distante in linea d’aria da Bardi, si trova una delle zone considerate “calde” (fra le poche in Italia) per le insolite manifestazioni aeree luminose.
Per concludere, rimane, in ogni caso, una sola certezza che, qualunque possa essere la spiegazione di quanto è stato fotografato, non può che essere di tipo straordinario.
Anzi, è probabile, che l’insieme degli strani fenomeni manifestatesi al castello di Bardi non abbia una origine univoca.
Ad esempio, le misteriose luci, di cui parlano alcuni testimoni, potrebbero essere collegate alla massiccia presenza di diaspro rosso (famiglia dei quarzi) sul quale si erge il castello, in grado di produrre, a particolari condizioni, fenomeni di piezoelettricità (può provocare, tra l’altro, anche alterazioni del campo magnetico).
In altre parole, dunque, potrebbe trattarsi del sovrapporsi di più episodi solo apparentemente legati fra loro.
Dimenticavo, ed i cerchi di pietre?
Se escludiamo l’ipotesi burla, si brancola nel buio più totale.
In passato l’uomo preistorico erigeva dei cerchi di pietre per compiervi, probabilmente, dei riti religiosi o per scopi astronomici.
Ma forse erano anche legati ad una concezione della natura molto diversa da quella attuale, dove la superficie terrestre veniva vista come percorsa da una serie di “linee di forza” che si intersecano fra loro creando zone da cui gli uomini sembravano o trarre un particolare benessere o subire uno spiacevole malessere.
Nessun commento:
Posta un commento