lunedì 3 agosto 2015

Le Streghe Di Triora


1587-1589: un biennio che Triora, paese della Valle Argentina in Liguria porta impresso nel proprio Dna. In questa fascia temporale infatti alcune donne di questo paese furono accusate di stregoneria, in particolar modo di essere le artefici delle pestilenze che avevano colpito la zona, delle piogge acide che avevano rovinato i raccolti, dell'uccisione di bestiame e di cannibalismo verso bambini in fasce. Molte furono accusate e alla fine del processo ne furono giustiziate circa una ventina, compreso anche un ragazzino.

In realtà Triora presenta già dalle origini alcuni aspetti magici che la caratterizzavano da secoli, a partire dal suo nome. “Triora” deriverebbe dal latino tria ora, cioè Tre Bocche, come le tre bocche di Cerbero, il cane infernale che Dante pone a guardia degli Inferi e che compare sullo stemma comunale di Triora. Inoltre, secondo la tradizione la chiesa detta della Collegiata, sorgerebbe su un precedente fanumpagano, mentre nelle vicinanze di Triora, al passo della Mezzaluna si erge un antichissimomenhir, testimonianza di precedenti culti pagani. Ma la curiosità maggiore la troviamo nella chiesa romanica di San Bernardino, nella quale è presente un affresco particolare di Giovanni Canavesio. Si tratta infatti di un Giudizio Universale con tanto di streghe ed eretici fatti a pezzi e bambini, morti senza ricevere il battesimo, posti sotto le gigantesche ali da pipistrello di un demone.

Cerchiamo di immaginare l'ambientazione durante la quale scoppiò quest'isteria collettiva che portò alla morte di alcune persone: siamo nel 1587, Triora sta soffrendo già da un paio di anni di una carestia terribile che sta provocando parecchie morti di stenti. Triora, a causa della sua posizione geografica molto arroccata sui monti liguri, respira ancora aria di superstizione. Il malumore inizia a serpeggiare e cominciano a essere additate come responsabili di tutto questo le donne più povere, le più umili che vivevano ai margini del paese, in una struttura già allora fatiscente chiamata la Cà Botina. Ecco qua l'inizio del fenomeno delle Bagiue, delle streghe trioresi che da questo momento in poi vivranno momenti orribili. Si inizia così con le prime maldicenze, poi alle accuse all'inizio sussurrate, poi dette a piena voce, fino a che il parlamento locale chiede al podestà Stefano Carrega di fare qualcosa. L'azione dell'Inquisizione non tarda a farsi sentire e nell'autunno dello stesso anno arrivano due vescovi, uno dei quali era Girolamo Del Pozzo, uno dei maggiori fautori della caccia alle streghe. I due prelati appena arrivati celebrano subito una messa solenne, durante la quale invitano tutti gli abitanti a denunciare le streghe. Questo è proprio il punto di non ritorno che dà il via a una serie di accuse, spesso infondate, verso quelle povere donne.

L'accusa più grave riguarda l'uccisione dei bambini. Le streghe di Triora erano accusate di eliminarli gettandoli alle streghe di Molini, paese posto un po' più in basso, giocandoci né più né meno a palla. Non solo: secondo gli accusatori le Bagiue si riunivano in luoghi particolari per danzare i Sabba e per lanciare maledizioni. Il luogo principe era proprio la Cà Botina (o Cabotina a seconda delle trascrizioni), un luogo al di fuori dell'abitato dove appunto si sarebbero svolti i rituali magici e i Sabba. Pare anzi che fosse proprio questo il luogo dove venivano decisi i malefici contro Triora e i suoi abitanti, una zona povera e isolata. Altre località frequentate dalle streghe, sempre fuori rispetto al centro abitato, erano la fontana di Campomauve e quella detta “della Noce”, posta nelle vicinanze di un grande albero di noce. Dentro al centro abitato, invece, si pensava che le streghe si dessero appuntamento dietro alla chiesa, nella via che ancora oggi si chiama “Dietro la chiesa”.

Insomma, il dado era tratto e dopo tutte queste accuse, vere o presunte agli inquisitori non importava, si iniziò a pensare di mettere in piedi una specie di interrogatorio prima di passare al processo vero e proprio. Così due case del paese vengono attrezzate come sale interrogatori e carceri. Una delle case è visibile ancora oggi, viene chiamata Casa del Meggia, o anche Cà de Baggiure o Cà di Spiriti, in piazza San Dalmazio. Dal vicolo vicino, il vicolo Rizzetto, si possono vedere le finestre della casa che ancora oggi hanno grosse inferriate.  Da questi processi sommari scaturiscono accuse ben precise che colpiscono tredici donne e un bambino. Un bambino, sì, che dovrà anche sottostare alla tortura.
E qui si entra nel momento più buio nella storia di Triora, ottimamente ricostruito nelle sale del Museo Etnografico e della Stregoneria: quello delle torture, che ovviamene fecero il loro corso e altre donne vennero così imprigionate. Siamo arrivati così all'inizio del 1588 e cominciano ad arrivare anche le prime morti tra le donne. La popolazione di Triora mastica amaro, questo perchè le morti stanno gettando ombre sul processo appena iniziato, sia perchè le accuse ora toccano anche donne di ceto più alto.

Un caso emblematico è quello di Isotta Stella, una donna di sessanta anni a cui non venne risparmiata la tortura e infatti morì per le conseguenze riportate.
Ma lasciamo parlare gli atti del processo, raccolti dal comune di Triora per uno dei tanti convegni che vengono fatti per ricordare le tristi vicende del processo: “(Isotta Stella)…dopo essere stata tormentata più volte alla corda,nonostante che fusse vecchia più di anni sessanta,un giorno fra li altri quasi disperata,chiamato a sé il vicario di monsignor vescovo confessò aver complici di quanto era sospetta, perché indi a presso nodrita di pane e acqua, straciata di tormenti, se ne è morta in confessa et senza ordini di chiesa”. E non si pensi che fosse tutto qui.

Ecco infatti come gli stessi atti riportano come avvenivano le torture indiscriminatamente su tutte le donne: “con darli corda per lungo spatio e puoi fuoco alli piedi per longo spatio anchora;appresso le fanno vegliare per più d’hore quarantacinque incominciando dalla sera, oltre averle fatte con rupitorii pelare in tutte le parte del corpo; ne è questo populo redatto in desperatione maxime che s’intende che a quest’hora vi siino più di dugento persone nominate; e nel modo che sino a qui si è fatto, prima che si finisci saranno nominate la più parte del populo et forse tutta”.


Gli Anziani del villaggio cominciano a chiedere al Doge di fermare questa ferocia, accusando gli Inquisitori e il Parlamento locale. Si inizia a chiedere di liberare le incarcerate, prendendo come spunto proprio il fatto di una donna che morì in seguito a un tentativo di fuga effettuato gettandosi da una finestra. Ma nemmeno lei scampò alle torture:“si gettò giù d’un barcone altissimo et restò stropiata; et così stropiata fu fatta andare alla curia minacciandola darline (di bastonarla); e tre giorni dopo se ne è morta”.

Il Doge interviene blandamente, strappando al Del Pozzo la promessa di limitarsi a proseguire nei processi delle donne incarcerate, evitando di muovere accuse ad altre, soprattutto alle donne delle famiglie più abbienti. Anzi il vescovo rivendica anche il proprio diritto a torturare le streghe, e sottolinea che Isotta Stella lo doveva essere, anche se anziana, vista la gravità delle accuse e minimizza anche la morte dell'altra donna, che in realtà sarebbe caduta dalla finestra a causa di in patto col diavolo non riuscito bene. Anche il podestà Stefano Carrega conferma le parole di Del Pozzo, dicendo che Isotta Stella fu aiutata a sopportare la torture dalle sue arti magiche e che spesso si addormentava anche durante il supplizio. Comunque, com'è come non è, gli Inquisitori a gennaio lasciano Triora, ma le donne incarcerate rimasero in prigione in attesa di nuovi ordini. Verso il mese di maggio arriva a Triora l'Inquisitore capo per sentire le donne in prigione. Di queste solo una viene liberata, le altre rimangono lì a languire.

A giugno a Triora arriva il nuovo podestà che ordina che le streghe fossero tradotte nelle carceri di Genova.
Nel frattempo a Triora arriva un commissario speciale, che non indaga solo nel paese, ma fa strage di streghe anche nei vici paesi di Castelvittorio, Montalto, Badalucco, Porto Maurizio e Sanremo. Iniziano a fioccare le prime condanne all'impiccagione e al conseguente incenerimento dei resti per alcune di queste donne. Le prime a salire sul patibolo sono Peirina di Badalucco e Gentile di Castelvittorio.

Ma a questo punto arriva il colpo di scena.

Il Padre Inquisitore di Genvoa interviene, ricordando a tutti che solo lui aveva la giurisdizione su questa storia e così cinque accusate vengono portare da Triora a Genova nell'ottobre del 158, andando a raggiungere le tredici già lì incarcerate.
La situazione ora si fa un po' confusa, il processo langue, fino ad arrivare al febbraio del 1589 quando si dice che tre (o cinque) prigioniere sono morte in prigione. Si deve però attendere fino al 23 aprile, quando l'Inquisizione ordina di concludere il processo. A questo punto delle streghe di Triora non si sa più nulla: non si sa se sono state liberate e rimandate a casa o se sono morte in prigione.









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